PER IL FRESCO SI PREFERISCONO I PICCOLI PRODUTTORI LOCALI

Grazie alla globalizzazione e a Internet i consumatori italiani oggi accedono a una vastissima gamma di prodotti: dalla produzione artigianale dietro casa alla filiera originata in un altro Continente. La Nielsen Global Brand-Origin Survey, condotta tra maggio e giugno 2017 su più di 31.500 interviste online in 63 Paesi, ha indagato l’impatto del dettaglio “Made in…” sulle scelte d’acquisto nel settore FMCG. Il primo dato interessante è che la preferenza della produzione locale rispetto a quella globale – o viceversa – dipende principalmente dalla categoria merceologica.

Approfondendo i risultati dell’indagine, emerge una tendenziale preferenza per i prodotti commercializzati da società multinazionali nelle principali categorie food e drug, a esclusione del comparto del fresco. In genere, i consumatori italiani preferiscono acquistare alimenti freschi vicino al luogo d’origine: circa un italiano su due (54%) afferma di acquistare più volentieri frutta e verdura fresca da un piccolo negozio al dettaglio nella propria città, o direttamente da un produttore locale. Anche quando si tratta di prodotti caseari (latte, burro, formaggi e yogurt) i consumatori italiani preferiscono la produzione nostrana (48%). Le percentuali scendono passando a uova, carne e pesce fresco (44%), prodotti da forno come pane e dolci (37%), carne/pesce refrigerati o surgelati (14%) che, in quanto meno “deperibili”, non ostacolano la proliferazione dei brand globali.

Nell’acquisto di prodotti confezionati quali snack e bevande, invece, i consumatori italiani non hanno particolari preferenze di provenienza: mediamente solo 1 italiano su 10 sarebbe più propenso ad acquistare principalmente piccole marche locali di cioccolato (12%), snack dolci o salati (11%), cereali per la colazione (10%), caffè o tè (11%), bevande analcoliche frizzanti (5%).

Nelle categorie Prodotti per l’infanzia, Cura della Casa e Cura della Persona le preferenze degli italiani si spostano prevalentemente verso le marche globali. Soprattutto nel primo comparto, infatti, i consumatori hanno bisogno di essere rassicurati dai migliori controlli qualità che i produttori globali sembrano garantire. Nello specifico, meno del 10% di italiani sceglierebbe un piccolo manufacturer locale per shampoo e balsamo (8%), make-up (7%), dentifricio e colluttorio (6%), deodoranti e detergenti per il corpo (6%) e assorbenti femminili (5%). Stesso discorso vale per i detergenti per la casa e i detersivi per la lavatrice, con rispettivamente il 6% e il 7% di preferenze “locali”.

Lo spostamento di preferenze verso i marchi globali può dipendere da molti fattori: può essere la conseguenza della minor disponibilità di marchi locali in una determinata categoria, oppure della percezione distorta della reale provenienza di un prodotto, oppure, semplicemente, i consumatori hanno una crescente affinità con le aziende multinazionali. Quest’ultima è la ragione più plausibile, considerando che numerosi brand globali stanno penetrando nei mercati locali tramite nuovi canali –online e offline – e che solitamente sono riconosciute come marche “di fiducia”.

Il mercato rionale, il fruttivendolo, il macellaio o il fornaio sotto casa sono canali ai quali i consumatori di tutto il mondo riconoscono ancora qualità e affidabilità. I negozi della Grande Distribuzione vincono invece in termini di convenience. I piccoli negozi al dettaglio sono preferiti dai consumatori globali soprattutto per frutta e verdura fresca (66%), uova, carne e pesce fresco (49%) e prodotti da forno (48%).

LA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA A INIZIO 2018

Abbiamo dovuto attendere sette settimane dall’inizio dell’anno per vedere di nuovo un segno positivo nei fatturati della grande distribuzione organizzata: +0,8% a totale Italia. Una crescita che non riesce ancora a limitare il calo delle precedenti sei settimane, ma che fa ben sperare.

Il calo delle prime settimane dell’anno ha suscitato qualche perplessità tra i player del mercato. Rispetto a gennaio 2017, la distribuzione moderna ha perso 350 milioni in vendite (in ipermercati, supermercati, libero servizio e discount). In percentuale si tratta di un calo del -4,9% (-6,2%  a  parità di rete distributiva). Un dato in controtendenza rispetto ai buoni andamenti del 2017, in parte riconducibile all’andamento deflattivo dei prezzi dell’ortofrutta (dovuto alll’impennata del gennaio 2017) che ha avuto un impatto sui fatturati complessivi stimato intorno all’1%. Proviamo però ad approfondire altre letture di questa contrazione.

PERCHÉ GLI ITALIANI HANNO SPESO MENO A GENNAIO?

Le motivazioni sono diverse. In primis, l’effetto calendario: storicamente, il mese di gennaio risente del boom delle vendite festive. Quest’anno, oltretutto, dicembre è stato straordinariamente positivo (+2,9% vs. 2016). Anche la giornata del 1° gennaio di chiusura (che invece non rientrava nella prima settimana del 2017) ha contribuito, così come un effetto di riduzione dello stock natalizio: solo considerando i prodotti da forno, la pasta, il riso e gli alimenti conservati si spiegano 45 milioni di calo.

La seconda ragione è la ridotta propensione all’acquisto in negozio, non solo per risparmiare, ma anche per la sostituzione con i servizi di food delivery e la piccola ristorazione. Questa ipotesi trova conferma sia nell’analisi dei panieri dei supermercati (il cibo pronto e “veloce” continua a crescere, a differenza dei prodotti basici e dei preparati che richiedono la cucinazione) sia nei picchi delle ricerche su internet relative all’home delivery.

BASTA CON IL “MAQUILLAGE” NELL’ADVERTISING. PIU’ NORMALITA’ NEGLI SPOT!

Oggi siamo esposti più di sempre a messaggi pubblicitari che provengono da spot televisivi, cartelloni, banner, radio e stampa, con un numero di esposizioni quotidiane che può variare dai 3000 ai 10000 comunicati. Questo ci indurrebbe a ritenere di essere arrivati a una condizione di “overload” dell’informazione pubblicitaria, essendo il nostro cervello incapace di immagazzinare, codificare e soprattutto ricordare questa enorme mole di dati.

In realtà non è proprio così: ci siamo, da un lato, assuefatti alla pubblicità come fossero gli angoli della nostra casa o l’interno della nostra automobile o, ancora, il viso o la voce dei nostri amici e parenti; quindi tendiamo a ri-conoscerla quando occorre, perché è ormai parte del nostro quotidiano, e a utilizzarla nell’atto di acquisto, davanti allo scaffale del supermercato. Dall’altro lato siamo diventati molto bravi nel selezionare e apprezzare i comunicati pubblicitari più interessanti, quelli che raccontano belle storie e colpiscono meglio il nostro immaginario dimenticando, anzi addirittura non distinguendo, tutti gli altri.

Istinto di sopravvivenza!!??

Per raccontare con successo una storia efficace, i pubblicitari devono avere una conoscenza perfetta dei target di una campagna e più in generale di una comunicazione. E il messaggio diventa tanto più efficace quanto chi comunica sta dalla parte del consumatore, parla il suo stesso linguaggio, mostra abitudini autentiche e, più in generale, una quotidianità vissuta, non scollata dalla realtà e priva del maquillage creativo che rende tutto bello e….impossibile.

Ciò che emerge dalla recente ricerca di Global Survey di Nielsen, condotta su un campione di oltre 31.000 individui in 63 Paesi, tra cui l’Italia, è il desiderio di vedere comunicazioni commerciali più “inclusive”, meno patinate e fittizie, dove la normalità non sia nascosta o rappresentata come un ostacolo, ma sia evidente e raccontata.

E non solo. Dalla stessa ricerca emerge un dato straordinario: che il 38% degli italiani ritiene importante che i messaggi pubblicitari e il packaging dei prodotti mostrino famiglie moderne e deistituzionalizzate, non quelle “tradizionali” (genitori single, famiglie omo-genitoriali, coppie miste dal punto di vista etnico, etc).

Non sono solo gli orientamenti sessuali e le identità di genere a trovare il favore degli italiani davanti a uno spot o a una pagina pubblicitaria su un quotidiano. Secondo l’indagine la perfezione del “fotoritocco”, caratteristica delle campagne di qualche anno fa è decisamente sorpassata. Meglio lasciare spazio alla rappresentazione autentica della realtà.

Questa ricerca offre nuovi spunti per targettizzare meglio le campagne e raggiungere con maggiore efficacia i consumatori. L’attenzione alle differenze di genere rientra poi in un più ampio raggio d’azione, che mette al centro dell’advertising l’individuo, con le sue inesauribili esigenze.

La massimizzazione del ROI dell’advertising non può prescindere da questi aspetti.

 

SUPERFOOD:GUSTO E SALUBRITA’ CONQUISTANO GLI ITALIANI.

Come sempre intendiamo fornire agli operatori di mercato indicazioni utili per sviluppare il proprio business attraverso l’analisi dei trend più importanti. Oggi parleremo dei Superfood, ovvero quei cibi ritenuti più idonei ad uno stile di vita corretto e ad una alimentazione più sana.

Gli italiani sono sempre più attenti alla propria alimentazione e sempre più interessati a scoprire cibi salutari. Quasi il 50% di loro dichiara che un regime alimentare controllato fa ormai parte del proprio stile di vita.

Tra questi Superfood i più gettonati nel Bel Paese sono quelli che uniscono le proprietà benefiche alla soddisfazione del palato: yogurt e noci sono in cima alla lista, insieme a fagioli (47% – quattro italiani su dieci sono alla ricerca di fonti di proteine alternative alla carne), tè verde (46%), salmone (45%), e cacao (37%). Quasi sette italiani su dieci (il 68%) sono convinti delle proprietà benefiche delle bacche di Goji per la propria salute, la percentuale maggiore rispetto a tutti i superfood considerati (al secondo posto troviamo la curcuma con il 62%).

Il trend salutistico è destinato a continuare nel prossimo futuro: tre intervistati su quattro infatti dicono di voler apportare cambiamenti alla propria dieta. Il primo proposito è quello di includere una maggior quantità di frutta e verdura all’interno della propria dieta (40%). Seguono poi i desideri di ridurre alimenti percepiti come poco salutari: per quasi un italiano su tre (il 29%) sono i cibi con zuccheri aggiunti o di caramelle/cioccolato, mentre per uno su quattro cibi con grassi saturi o trans.

Per intercettare pienamente questo bisogno di salubrità occorre ampliare l’offerta delle aziende e aiutare il consumatore a capire come inserire questi cibi all’interno della propria dieta: il 42% vorrebbe infatti maggiori informazioni a proposito e il 32% degli intervistati fatica a trovarli nei negozi della propria zona.

Se i medici sono una fonte fondamentale per capire cosa può essere considerato salutare, un italiano su tre si consulta con il proprio medico o si rivolge al web per avere informazioni, il pack rimane fondamentale per veicolare l’idea e le informazioni di un prodotto: il 48% degli intervistati, infatti, legge attentamente le etichette e le indicazioni sulle confezioni. In tutti i grandi Paesi le etichette sono, dunque, la fonte primaria di informazioni per decidere se un cibo può essere considerato salutare oppure no. 

L’invito che rivolgiamo alle aziende è, dunque, di tenere in seria considerazione il contenuto delle proprie etichette, privilegiando anzitutto le informazioni che attengono agli aspetti salutistici.

Nonostante il desiderio di un regime alimentare sano, c’è spazio però per qualche golosità: oltre la metà degli italiani pensa che permettersi qualcosa di più appagante ogni tanto vada bene nonostante la dieta, e il 68% accetta l’utilizzo di moderate quantità di zucchero, preferibilmente naturale, rispetto a quello aggiunto industrialmente.

Questa attenzione salutistica si riflette anche nelle intenzioni d’acquisto rilevate per i prossimi mesi: gli italiani intendono infatti comprare più acqua naturale e succhi 100% frutta, diminuendo al contempo il consumo di bibite gassate e di bevande alcoliche.

 

LE OTTO PRINCIPALI TENDENZE 2017

Quelle che influenzeranno il design di prodotti e servizi alla luce dell’innovazione tecnologica e dell’evoluzione nei comportamenti di consumo. 

 

1.Ephemeral Stories: Siamo tutti storyteller, nessuno è storyteller.

La creazione del contenuto passa dallo storytelling allo storydoing – condividere delle storie attraverso le esperienze che un brand rende possibili. La democratizzazione nella produzione di contenuti e l’affermazione della componente visiva su quella testuale hanno scardinato le modalità tradizionali di circolazione degli stessi. Per le aziende significa fare un passo indietro e lasciare spazio alla narrazione personale dei propri consumatori. Il nuovo linguaggio sono le live stories e i contenuti semplici, spontanei, personali trasmessi, la social experience. E’ il filter paradox, contenuti sempre meno filtrati nel senso tradizionale del termine, ricchi al contrario dei filtri tipici alla Snapchat.

2.Hourglass Brands: Non esistono le mezze misure.

In tutti i settori, il posizionamento dei brand risulta polarizzato, da una parte grandi piattaforme digitali, tra i brand più amati, abili nell’estendersi oltre il loro core business, offrire servizi molto differenziati, dall’altra parte brand specializzati con un obiettivo chiaro e definito. Queste realtà stanno scardinando lo scenario per tutte le altre, spingendole a ridefinire il loro posizionamento, trovare uno scopo preciso o aprirsi ai valori universali del digitale: efficienza, usabilità, accessibilità e semplicità.

 

3.Me, Myself and AI: Umanizzare i chatbot.

L’Artificial Intelligence (AI) procede a grandi passi, il prossimo è aggiungere intelligenza emotiva alle macchine. Nel prossimo futuro lo sviluppo di prodotti e servizi passerà da qui. I servizi digitali creati per l’interazione con le persone, come i sistemi conversational basati su AI, richiedono una collaborazione tra uomo e macchina, sia in fase di progettazione delle logiche di interazione, che, in modo selettivo, durante l’erogazione di un servizio. Questa simbiosi tra intelligenza artificiale e umana è fondamentale per creare esperienze in cui la capacità di comprensione ed analisi si fonde con elementi emozionali.

 

4.Blurred Reality: Andare oltre la realtà aumentata per tornare nella realtà.

Mentre la Mixed Reality (MR) diventa mainstream, le aziende dovranno adottare le combinazioni di tutti i tipi di realtà, fisica e virtuale per la creazione di esperienze significative per i propri clienti. Nel 2017 sempre più applicazioni di MR si affermeranno permettendo ai brand di creare esperienze omnicanale.

 

5.Homes without Boundaries: Per una casa che ti ascolta

Una smart home senza confini, con servizi costruiti per e attorno alle persone, anziché alla tecnologia e gli oggetti. Le aziende devono sviluppare strategie che guardino oltre il singolo device per focalizzarsi sulle esperienze in grado di rispondere a bisogni quotidiani delle persone ovunque esse si trovino. La attività domestiche diventano portatili, ovvero la casa diventa flessibile nel rispondere alle esigenze.

 

6.Shiny API People: Riorganizzarsi per innovare

La tecnologia digitale ha cambiato il modo in cui prodotti e servizi vengono ideati, realizzati, distribuiti e consumati. Per le aziende questo significa imparare ad adattarsi al cambiamento, abbattere i silos e creare un terreno fertile per l’innovazione a tutti i livelli dell’organizzazione, acquisendo le design skill necessarie.

 

7.World on Wheels: Chi va piano va sano e va lontano

Con i veicoli a guida autonoma ad un passo dall’entrare nella nostra quotidianità, le aziende devono porre l’attenzione sull’automobile come ambiente mobile connesso in cui le cose accadono attraverso l’uso di vari dispositivi. Così come accade per la smart home, anche l’auto diventa un nodo all’interno di un ecosistema digitale.

 

8.Unintended Consequences: Il cannibalismo della customer centricity

Le organizzazioni dovrebbero iniziare a progettare le esperienze per proteggersi dalle conseguenze non intenzionali delle loro attività. Nel prossimo anno istanze etiche legate alle conseguenze inattese delle tecnologie digitali diverranno sempre più rilevanti e entreranno necessariamente nell’agenda di istituzioni e aziende.

ITALIANI A CACCIA DI PRODOTTI PREMIUM, NONOSTANTE LA CRISI.

In Italia, così come nel resto del mondo, i consumatori sono sempre più alla ricerca di prodotti in grado di attrarli sia da un punto di vista razionale che emotivo. E nonostante la crisi dell’ultimo periodo spinga oggi il 44% degli italiani ad affermare che non considerano la propria situazione economica migliore rispetto a cinque anni fa, nel mercato si registra una forte crescita dei prodotti premium, cioè di tutti quei prodotti con un prezzo superiore del 20% rispetto alla media del mercato. I dati, infatti, mostrano che la crescita di questi prodotti è più forte di quella registrata nella maggior parte delle categorie del mercato FMCG (fast moving consumer goods), tale da generare complessivamente un incremento a valore del 15.6% nel corso del 2016.

Interessante sottolineare inoltre che questo fenomeno è spesso legato non tanto ai brand leader della categoria quanto più a quelli di nicchia, che sempre più negli utlimi anni stanno adottando vincenti strategie di differenziazione rispetto al resto del mercato. Questi brand hanno compreso come per gli italiani non sia semplicemente una questione di prezzo; sono solo il 15%, infatti, i consumatori che definiscono un prodotto come premium solo perchè costoso. E’ quanto emerge dalla “Global Premiumization Survey”, condotta da Nielsen intervistando 30.000 utenti internet in 63 Paesi, tra cui l’Italia, che ha analizzato i comportamenti e le abitudini dei consumatori relativamente ai prodotti “premium”.

Quali sono, quindi, per gli italiani le peculiarità che identificano questo tipo di prodotti? In linea con gli altri paesi europei, la qualità degli ingredienti o dei materiali con cui sono fatti rappresenta il primo requisito per il 45% dei consumatori. Seguono poi l’offertà di funzioni/performance superiori rispetto agli altri prodotti, la capacità di fare cose in più rispetto al resto del mercato, ma anche l’offerta di una customer experience di livello superiore (rispettivamente 39%, 34% e 30%). In linea con i trend degli ultimi anni la ricerca mostra inoltre come gli attributi “green” dei prodotti si traducano in un forte potenziale premium. Gli italiani dichiarano infatti di essere disposti a pagare un prezzo più elevato per i prodotti ecosostenibili (20%) e ancora di più per quelli composti da ingredienti naturali e biologici (22%).

Non sorprende quindi che da un lato i consumatori intervistati indichino i prodotti freschi come le categorie in cui sono disposti a spendere maggiormente: il 31% per carne o pesce, il 26% per latticini (latte, yogurt o formaggi) e il 23% per pane e specialità da forno. Il 17% è inoltre disposto a spendere di più per riso e cereali, rispetto al 9% della Francia e l’8% della Germania.
La qualifica premium, però, non si applica solo all’ambito food: il 22% degli intervistati infatti dichiara di essere disposto a spendere di più per prodotti tecnologici di livello superiore (computer, cellulari, ecc.), mentre il 18% per farmaci “Over The Counter”, venduti cioè senza prescrizione. Questo dato è molto superiore rispetto agli altri grandi paesi europei (6% in Gran Bretagna, 7% in Francia). Rimane però dall’altro lato rilevante la percentuale di coloro che non si dicono disposti a pagare un prezzo più alto per nessun prodotto (31%); in questo caso invece il dato è in linea con gli altri paesi (31% in Spagna e 29% in Germania e Gran Bretagna).

Ma gli italiani dove preferiscono acquistare i prodotti premium? La maggior parte (45% del totale) opta per i negozi fisici, mentre una quota sempre più ampia per l’ecommerce (il 21% dei consumatori compra abitualmente prodotti premium online), anche se la percentuale di acquirenti online rimane ancora inferiore rispetto a quella degli altri paesi europei, primi fra tutti inglesi (31%) e tedeschi (31%). Solo una piccola minoranza compra questi prodotti presso negozi al di fuori dei confini nazionali (8% online, 5% presso store fisici).

E’ importante infine ricordare che per invogliare i consumatori a provare nuovi prodotti premium le strade sono diverse. Se da un lato, infatti, gli italiani fanno personalmente ricerche prima di decidere di acquistare un prodotto premium (33% di loro), per il 25% il passaparola di amici e parenti è ancora il motivo principale che spinge a comprare uno di questi prodotti. Ma fondamentale per le aziende rimane l’immagine che riesce a trasmettere del proprio brand e il modo in cui riesce a coivolgere emotivamente il consumatore: l’impulso emozionale è infatti ciò che spinge all’acquisto di prodotti premium il 22% degli acquirenti.

ITALIA, SEMPRE PIU’ SOCIAL E SEMPRE PIU’ MOBILE.

Digital in 2017 è il report risultato della collaborazione tra We Are Social e Hootsuite. A corredo dei numerosi dati contenuti nel report, ci sono una serie di conclusioni utili per comprendere ancora meglio che implicazioni questi hanno sui business, e sulla società in generale, sottolineando  quanto velocemente stia cambiando lo scenario, grazie a un accesso alla rete sempre più diffuso.

Alcune evidenze:

  • più della metà della popolazione mondiale usa uno smartphone;
  • quasi due terzi della popolazione mondiale possiede un telefono cellulare;
  • più della metà del traffico internet è generato da mobile;
  • più della metà delle connessioni mobile avviene oggi su banda larga;
  • più di una persona su cinque della popolazione mondiale ha effettuato almeno un acquisto online negli ultimi 30 giorni.

Italia – Un paese sempre più social e sempre più mobile

Su una popolazione di quasi 60 milioni di abitanti, oltre 39 milioni utilizzano internet e 31 milioni sono attivi sui social media, ovvero il 52% del totale.

Di questi 28 milioni accedono ai propri social preferiti tramite mobile (47% dell’intera popolazione) evidenziando come questi strumenti siano sempre più parte integrante della quotidianità.

L’Italia denota inoltre un’ampia frammentazione delle piattaforme social utilizzate, segnale di come le persone scelgano in modo molto flessibile il canale migliore per fruire e condividere contenuti a seconda delle proprie esigenze. Se Facebook e YouTube la fanno da padrone come social media, Instagram con il 28% dell’utenza, evidenzia una fortissima crescita rispetto al 2016, subito dietro alle principali app di messaging (WhatsApp e FB Messenger).

Infine, l’età si fa sempre più trasversale nella popolazione, rivelando come i social media non siano più soltanto un hot topic dei più giovani ma si siano trasformati in strumento di informazione e comunicazione alla portata di tutti.

 

ACQUISI ONLINE IN CRESCITA MA PER I FRESCHI MEGLIO IL NEGOZIO.

L’87% degli italiani che navigano in internet dichiara di fare acquisti online. Tuttavia il ruolo del negozio fisico rimane decisivo. Ciò avviene soprattutto nel comparto degli alimentari freschi, dove il 38% degli italiani afferma che le visite in store risultano indispensabili per la formulazione della decisione di acquisto. I dati emergono dalla Global Survey di Nielsen Connected Commerce effettuata su un campione di 30.000 individui in 63 Paesi, tra i quali l’Italia.

Spiega nella nota l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia: “L’eCommerce  sta ridisegnando il concetto stesso di fare acquisti e le sue declinazioni. Occorre inserire l’acquisto in un più ampio processo all’interno del quale sono rintracciabili esperienze valoriali differenti. Ci riferiamo soprattutto all’esigenza dei consumatori sempre più consolidata di richiedere un maggior numero di informazioni relativamente a ciò che devono acquistare rispetto al passato. Ci troviamo davanti alla sfida di dovere considerare che i confini tra digitale e fisico risultano sfocati. Per esempio, si passa dalle recensioni online del prodotto, alla lettura di volantini, al passaparola e, soprattutto, a quanto si può reperire all’interno dello store fisico dal personale addetto alla vendita. Come si vede, si tratta di strumenti a cavallo tra il fisico e il virtuale. Come emerge dalla ricerca, l’obiettivo che si pone attualmente la grande distribuzione deve essere quello di favorire l’engagement e la soddisfazione dello shopper attraverso molteplici touchpoint durante il percorso d’acquisto. Solo in questo modo si può sostenere  e corroborare la propensione al consumo del cliente, che deve essere sempre più accompagnato nel sentiero che porta al prodotto”.

All’interno della Survey, si prendono innanzitutto in considerazione quelli che sono i prodotti maggiormente acquistati online. Spiccano tra questi le categorie dei beni durevoli o di svago: i viaggi (acquistati via web dal 47% degli italiani), insieme a libri e supporti musicali (47%). Seguono gli articoli di moda/abbigliamento/accessori (40%), biglietti per eventi come concerti/sport/mostre (35%), elettronica di consumo (34%) e informatica (28%).

Per quanto riguarda la tipologia dei prodotti di consumo, è da rilevare il trend positivo dei prodotti di bellezza e della cura della persona.

Rimane ancora inferiore la quota di coloro che si avvicinano online agli alimentari freschi (frutta, verdura, carne) che vengono acquistati sul web solo dal 6% della popolazione. Vino e bevande alcoliche fanno invece registrare dati superiori anche se di poco (11%) analogamente ai prodotti alimentari confezionati (12%). Anche per quanto riguarda il settore della ristorazione (pasti a domicilio), emerge che gli italiani sono ancora cauti nell’utilizzo del canale virtuale (7% vs media UE pari al 19%).

La Survey di Nielsen non manca di verificare se dopo un acquisto online i consumatori rimangono soddisfatti e tornerebbero a comprare via web. Ciò si verifica nel 71% dei casi per gli acquisti di viaggi in rete, in ragione del 60% per i biglietti di eventi, e nella misura del 48% per libri/musica. Per ciò che concerne le categorie della moda e dell’arredo/mobili non si può ripetere la stessa cosa. Infatti entrambe fanno registrare una quota del 41% di consumatori che dichiara di volere tornare nello store fisico.

I siti web del negozio vengono consultati dal 28% degli shopper di prodotti di moda, che prendono come punto di paragone anche i siti dei brand (23%).

Il 34% dei consumatori, si legge ancora nella Survey, visita il sito web del negozio se è interessato all’elettronica di consumo, il 31% il sito web della marca. Parallelamente, nell’acquisto di questa tipologia di beni vengono utilizzate in ragione del 28% le recensioni trovate online, del 25% i volantini e il passaparola, del 18% i social media. Quest’ultimo valore risulta doppio rispetto allo stesso registrato in Francia e Gran Bretagna (entrambe al 9%).

 

L’indice di fiducia degli italiani in crescita di 2 punti nel terzo trimestre 2016.

Si posiziona a quota 57 l’indice di fiducia Nielsen dei consumatori italiani, in crescita di 2 punti percentuali rispetto al dato dello scorso trimestre, stabile su base tendenziale. Nonostante la situazione di fiducia italiana sia stabile rispetto allo stesso periodo del 2015, emergono dei segnali positivi sul fronte della propensione al consumo. Fa registrare un incremento di 4 punti percentuali rispetto a un anno fa (18% vs 14%) la quota di quanti ritengono quello presente il momento giusto per fare acquisti e, contestualmente, cala la percentuale di chi si dichiara orientato al risparmio (38% vs 40% del periodo luglio-settembre 2015).

L’indice di fiducia a livello mondiale si attesta a 99 punti con cinque delle economie incluse tra le top ten che hanno fatto registrare un punteggio superiore alla soglia di 1001: Regno Unito (106), Germania (100), India (133), USA (106) e Cina (106). Gli altri cinque mercati principali su scala globale, oltre all’Italia, hanno fatto registrare i seguenti punteggi: Canada (97), Brasile (84), Giappone (71) e Francia (69). L’indice di fiducia dei consumatori inglesi nel periodo post-Brexit ha fatto rilevare un incremento di ben 8 punti percentuali (vs trimestre precedente).

I dati emergono dalla Global Survey sulla Consumer Confidence di Nielsen realizzata su un campione di oltre 30 mila individui in 63 Paesi.

Dall’indagine Nielsen sulla fiducia dei consumatori nel terzo trimestre dell’anno – ha dichiarato l’a.d. di Nielsen Italia Giovanni Fantasia risulta che in Europa l’indice dei consumi ha segnato un trend di crescita in 26 dei 34 mercati monitorati. Nel complesso gli indicatori della fiducia segnalano un andamento positivo nel breve periodo. Hanno registrato una crescita quanti considerano positivo il trend del mercato del lavoro (32%, +3 punti percentuali vs secondo trimestre 2016), lo stato delle proprie finanze (42%, +1 punto percentuale) e che si dichiarano propensi all’acquisto (34%, +1 punto percentuale). All’interno di tale contesto – ha continuato Fantasia – anche la posizione dell’Italia si configura in lento ma progressivo miglioramento. L’indice di fiducia si mantiene, infatti, sensibilmente al di sopra dei livelli registrati nel periodo di crisi, quando l’Italia aveva toccato quota 41, sia nel 2012 che nel 2013. Occorre d’altra parte concentrare le energie perché il sentiment di positività che va affermandosi si traduca in comportamento di acquisto”.

Per quanto riguarda la percentuale di quanti ritengono l’Italia ancora in crisi si è osservato un calo di 5 punti percentuali rispetto a un anno fa (84% vs 89%). Tuttavia, solo il 13% pensa che l’Italia possa uscire dal tunnel recessivo nei prossimi 12 mesi. Risulta stabile, nello stesso tempo, la quota di coloro che hanno dichiarato di intravvedere una svolta positiva nelle prospettive dell’andamento occupazionale (11%).

D’altra parte la sicurezza del proprio posto di lavoro rimane in testa alle preoccupazioni degli italiani (19%) seguita a poca distanza dall’apprensione destata dagli attacchi terroristici in Europa (17%). Il dato dell’Italia, rispetto alla voce terrorismo, si posiziona d’altra parte ben al di sotto di quanto rilevato nei principali Paesi europei e in quelli direttamente colpiti.

Mettendo a fuoco le altre preoccupazioni su base nazionale emerge quella per il pagamento dei debiti (al 9%, +3 punti percentuali vs terzo trimestre 2015), quella per lo scenario economico (8%), per la salute (7%), per l’immigrazione (6%), la preoccupazione per l’educazione dei figli e il bilanciamento tra tempo di lavoro e famiglia (entrambe al 4%). Aumenta di tre punti percentuali rispetto allo scorso anno la percentuale di quanti dichiarano di non avere preoccupazioni (5%).

L’indagine di Nielsen prende anche in esame i comportamenti di consumo degli italiani rispetto a determinate categorie di prodotti. Il 30% dichiara di spendere per comprare vestiti, il 29% per i viaggi e il 22% per gli svaghi fuori casa. Per quanto riguarda queste ultime due voci, si rileva un incremento rispettivamente di 3 e 2 punti se raffrontate al terzo trimestre 2015, dati che vanno a confermare quanto rilevato in merito a una decisa crescita nella propensione ai consumi.

Un quarto degli intervistati (24%) ha dichiarato di non avanzare somme di denaro extra a fine mese, dopo le spese essenziali.

Sul versante, invece, delle misure messe in atto per risparmiare dalle famiglie italiane, la quota di coloro che hanno dichiarato di avere adottato particolari misure di spending review risulta in netta decrescita: è pari al 51%, in calo di 13 punti percentuali rispetto al terzo trimestre 2015 (64%). Questo risulta essere un segnale significativo del fatto che si sta iniziando un percorso rivolto più ai consumi che ai tagli di spesa. Ciononostante, sono ancora riscontrabili comportamenti volti a ridurre le spese: il 56% spende meno negli acquisti di abbigliamento, il 53% taglia sulla voce divertimento, il 51% ha ridotto la frequenza dei pasti fuori casa, il 42% riduce il budget per le vacanze, il 38% si dimostra attento ai consumi di gas/elettricità e all’utilizzo dell’auto. In calo di 10 punti percentuali, invece, quanti si dichiarano propensi all’acquisto di marchi alimentari più economici (43% vs 53% del terzo trimestre 2015).

Alla domanda in merito a quali comportamenti di risparmio verranno mantenuti pur in presenza di uno scenario economico in via di miglioramento, il 26% degli intervistati (+5 punti percentuali vs terzo trimestre 2015) sottolinea che userà comunque meno l’auto, il 22% intende contenere le spese per pasti fuori casa, il 21% mantenere un atteggiamento di cautela nell’acquisto di vestiario, il 20% di porre attenzione ai consumi di gas/elettricità.

I cinque fattori chiave per aziende vincenti.

 

Le aziende del largo consumo si trovano oggi a dover affrontare innumerevoli sfide, come ad esempio operare in un periodo storico di grande incertezza politica ed economica, dover conquistare il gradimento e soddisfare necessità e desideri di consumatori più consapevoli e attenti rispetto al passato, competere con i venditori al dettaglio e con un numero sempre maggiore di negozi e supermercati che vendono prodotti a prezzi ridotti. In un simile contesto, le grandi aziende che operano nel settore dei beni di largo consumo faticano a trovare la via verso la crescita. Tuttavia esistono delle best practice che hanno permesso ad alcune imprese di emergere e distanziare i propri competitor. Una recente survey McKinsey, in collaborazione con Nielsen e GMA (Grocery Manufacturers Association, l’associazione che rappresenta i maggiori produttori mondiali di generi alimentari), condotta nel 2016 tra le aziende nordamericane che operano nel settore dei beni di largo consumo ha evidenziato 5 best practices in materia di gestione della clientela e dei canali di distribuzione delle aziende “vincenti”, quelle aziende cioè che registrano performance migliori rispetto ai propri competitor1.

  1. INDIVIDUARE LE SACCHE DI CRESCITA E INVESTIRVI LE PROPRIE RISORSE

L’indagine rivela come tutte le aziende vincenti acquisiscano dati relativi al carrello della spesa e agli acquirenti; maggior parte di esse ottiene anche i dati relativi alle carte fedeltà e ai coupon utilizzati. Le aziende più lungimiranti riconoscono come tali dati siano utili a comprendere meglio le aree di maggior crescita e di conseguenza ad “aggredirle” più facilmente. Oggi, le sacche di crescita nel settore dei beni di largo consumo includono canali specifici (vale a dire, la vendita al dettaglio omni-canale, le catene di distribuzione alimentare locali, i discount, i club store e i dollar store, i corrispettivi dei negozi “tutto a 1 euro”), gruppi demografici (Millennials) e categorie di consumatori (consumatori consapevoli).

  1. INTENSIFICARE LE ‘POWER PARTNERSHIP’ CON I CLIENTI PIÙ IMPORTANTI

Le aziende vincenti sono 2,6 volte più portate a investire esclusivamente in collaborazioni con i venditori al dettaglio. Esse coltivano le cosiddette “power partnership” con i clienti più importanti — organizzano incontri top-to-top più frequentemente (il 40% delle vincenti, contro il 7% delle altre, è impegnato in conversazioni top-to-top almeno tre volte l’anno), sono più propense a coinvolgere in questi meeting il CEO e il top management e concentrano la loro attenzione su collaborazioni trasversali che riguardano tutta la filiera. I venditori al dettaglio richiedono sempre più spesso dei dati analitici sugli acquirenti: il 75% delle aziende vincenti ogni settimana condivide dati con i venditori principali, mentre il restante 25% condivide dati in tempo reale sulla base della necessità del momento.

  1. ADOTTARE UN SISTEMA DI GESTIONE CRESCITA-RICAVI BASATO SUI BIG DATA

Con le aziende sempre più impegnate a sviluppare le proprie strategie in base alla politica dei prezzi, alle promozioni commerciali e all’assortimento di prodotti/merci, il termine RGM Revenue-Growth-Management (sistema di gestione della crescita e dei ricavi) sta diventando via via sempre più di moda. Le aziende che padroneggiano l’RGM hanno visto incrementare il proprio margine di crescita fino a cinque punti percentuale. Le aziende vincenti hanno la tendenza a investire in strumenti avanzati di analisi, in big data, in tecnologie RGM all’avanguardia e in strumenti di gestione e ottimizzazione delle operazioni commerciali e promozionali. Questo approccio viene utilizzato anche relativamente alla gestione dell’assortimento prodotti. Le aziende vincenti sono più risolute nell’apportare modifiche frequenti e rilevanti ai propri portfolio SKU (Stock Keeping Unit, articoli specifici messi a stock in una specifica posizione) e sono più propense rispetto ad altre aziende a tener conto della redditività, del feedback che viene dai consumatori e dai team addetti alle vendite e della complessità dei processi di produzione e distribuzione quando si tratta di aggiungere o sottrarre articoli gestiti a magazzino.

  1. IMPEGNARSI NELLA VENDITA AL DETTAGLIO OMNI-CANALE

Le aziende che operano nel settore dei beni di largo consumo ritengono che l’e-commerce sarà il fattore principale che guiderà il cambiamento nel corso dei prossimi cinque anni – in particolare, la continua crescita di Amazon. Non sorprende dunque che le aziende siano particolarmente attive nel collaborare con Amazon: il 29% delle aziende vincenti ha inserito un team di account all’interno degli uffici Amazon e il 14% ha in programma di farlo nei prossimi due anni. La metà delle aziende vincenti – contro il 7% delle altre – ha in programma investimenti in specialisti di categoria online o multi-canale. Inoltre, esse utilizzano i propri siti web per migliorare l’esperienza del cliente e rafforzare la presenza del brand, raccolgono dati al fine di ottenere una maggiore comprensione dei comportamenti di chi acquista e destinano alle vendite online un numero di impiegati che è 2,4 volte maggiore rispetto alle altre aziende.

  1. SVILUPPARE UNA INSIGHTS FACTORY

Rispetto alle altre aziende, quelle vincenti sono due volte più propense a ritenere che gli strumenti di analisi avanzata rappresentino un elemento essenziale per l’attività di business strategy. Queste aziende creano una “insights factory”— un set di strumenti, processi e modelli analitici — capace di raccogliere dati che forniscono una visione sia a livello generale che dettagliato (di negozio in negozio) che può influenzare le decisioni prese dalle diverse sales organization. La maggior parte delle aziende vincenti aggiorna ogni mese i dati raccolti su consumatori o acquirenti. Le scelte operate dalla sales organization possono influire notevolmente sulle performance di un’azienda. I cinque fattori imprescindibili dimostrano come utilizzando big data, strumenti e analisi a proprio vantaggio per rafforzare le strategie di gestione della clientela e dei canali di distribuzione dei prodotti, le aziende che operano nel settore dei beni di largo consumo possano distinguersi dai propri competitor.

 

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