La comunicazione emozionale, il marketing incontra le neuroscienze.

Marketing, comunicazione e neuroscienze hanno un fondamentale punto di contatto: le emozioni. Ecco perché oggi si parla di neuromarketing: neuroscienze e marketing possono essere fuse in una nuova disciplina che utilizza la strumentazione tipica delle neuroscienze per analizzare e capire l’impatto dell’attività di marketing sulle diverse aree cerebrali del soggetto. Le potenzialità che le neuroscienze possono offrire al marketing per costruire una comunicazione sempre più efficace sono infatti enormi.

Nel marketing emozionale il tradizionale assunto per cui la pubblicità deve persuadere il consumatore, andando a influenzare prima di tutto le sue azioni e come conseguenza le sue emozioni, viene completamente ribaltato: l’obiettivo della comunicazione dev’essere anzitutto l’engagement, cioè il coinvolgimento di chi guarda. Le scelte e le decisioni di acquisto delle persone non sono esclusivamente frutto di processi logici, anzi, nella maggior parte dei casi dipendono strettamente dalla parte emotiva. Emozioni, sentimenti, impulsi sono influenzati dalle parole, dalle immagini e spesso da dettagli che potrebbero essere considerati a prima vista ininfluenti. Per questo è importante sfruttare le conoscenze fino ad ora acquisite nel campo delle neuroscienze e applicarle al marketing e, oggi, al marketing digitale.

Per comprendere come i consumatori reagiscono ai diversi stimoli cui sono sottoposti, scendono in campo le neuroscienze: i tradizionali metodi di ricerca sono in grado di fornire una vista parziale del consumatore, data dal responso conscio ma secondario agli stimoli. Con gli strumenti delle neuroscienze, invece, le aziende saranno in grado di leggere le reazioni istantanee agli stimoli, sia a livello conscio che inconscio.

Gli strumenti utilizzati dal neuromarketing sono principalmente l’elettrocardiogramma (EEG), la tomografia a emissione di positroni (PET), la risonanza magnetica funzionale (fMRI), l’eyetracking e le misurazioni biometriche. I risultati dati da test di questo tipo permettono di capire il livello di attenzione generato dallo stimolo, il livello di coinvolgimento emotivo e il livello di conservazione del ricordo, per comprendere se i consumatori reagiscono positivamente agli stimoli presentati e in che misura lo stimolo verrà ricordato.

Il connubio tra neuroscienze e marketing permette quindi di avere reale consapevolezza di quanto uno stimolo riesca a comunicare efficacemente.

Per rendere più concreti questi concetti è utile a questo punto inserire un esempio di neuromarketing facendo riferimento a un esperimento del ricercatore Read Montague di alcuni anni fa in cui erano state messe a confronto due note aziende: la Coca Cola e la Pepsi. Nel test venne chiesto ai soggetti di degustare entrambe le bibite e di esprimere una preferenza. I risultati furono interessanti: se non veniva rivelata la marca la maggior parte dei soggetti sceglieva la Pepsi; se invece veniva loro detta, il 75% sosteneva di preferire la Coca Cola e durante la risposta si poteva notare un incremento dell’attività celebrale che riguardava regioni legate all’autostima e alle emozioni positive. Da ciò si poté concludere che l’essere a conoscenza della marca aveva una grande influenza sulle risposte comportamentali e sull’attività cerebrale degli individui. Il giudizio dei partecipanti era, dunque, guidato da ciò che essi avevano condiviso con il brand e dalle aspettative associate all’immagine che le due bibite si erano create attraverso anni di campagne pubblicitarie. In pratica del rapporto emotivo che si era stabilito fra i soggetti.

 

L’industria cosmetica ‘sorpassa’ quella del vino.

L’industria cosmetica batte quella del vino, ma anche quella delle scarpe. Tra addetti e indotto occupa 220 mila persone, 200 mila erano le persone occupate dalla vecchia Fiat per intenderci, ma soprattutto vanta un fatturato superiore a occhiali (3,7 miliardi di euro), superiore al vino (che secondo l’ ISTAT si attesta sui 12,9 miliardi di euro), superiore a scarpe (7,5 miliardi di euro), con una filiera che è di 15 miliardi di euro circa, di cui 10 miliardi e mezzo diretti, che rappresentano cioè il sistema cosmetico italiano.

Un giro d’affari di tutto rispetto. Ma gli addetti ai lavori pensano di non godere delle dovute attenzioni del Governo. A cominciare da Luigi Bergamaschi (amministratore delegato Erbolario): “abbiamo bisogno di un sostegno soprattutto sui  mercati internazionali. Giustamente la regolamentazione in Italia è rigida, ma non accade cosi all’estero dove si producono e importano prodotti non con le garanzie di quelli italiani; e così ci fanno concorrenza.

Per Roberto Pirola (produttore di candele  Cereria  Lumen) “facciamo un prodotto competitivo, interamente prodotto in italia. Basterebbe che la politica riducesse la burocrazia e snellisse le procedure.“ Secondo Marco Bianco (sales manager di Equilibria): ”se già le istituzioni non mettessero i bastoni fra le ruote sarebbe un passo avanti. Rispetto alla ricchezza che produciamo, non possiamo contare su una considerazione adeguata.”

Per Benoi Doithier (Amministratore Delegato Antica Erboristeria): “siamo stati anticipatori con la nostra catena di cosmetica naturale. Applicando la  certificazione cosiddetta  ‘B corp’, abbiamo declinato i  valori di un buon prodotto con anche la salvaguardia di principi etici e della responsabilità sociale.”  Secondo Luciano Favero (Amministraore Delegato Sisma SpA): “Penso che si debba puntare sulla certificazione. La Germania ci ha insegnato che con standard di qualità superiori si può competere. Va limitata la circolazione di prodotti inadeguati.”

Aggiunge Luca Spurio (export manager di FARMAVITA): “ l’ICE non è all’altezza; la PMI non è rappresentata adeguatamente; per un’azienda come la nostra che esporta al 90% la cosa incide.” Mentre Massimiliano Maccarone (Marketing Manager Medavita) aggiunge che “l’Italia ha una buona reputazione nel settore del made in Italy cosmetico.”

Osserva Alessandro Rosso (Responsabile Marketing Lisap laboratori Cosmetici) “troppe spese a carico di chi esporta, la documentazione per i ministeri, incartamenti, burocrazia. Già un aiuto in quel senso sarebbe prezioso.”  Ultima ma non ultima, l’imprenditrice Maria Parnazzini (presidente di Nuova Fapam) secondo la quale all’interno della cosmesi “il colore italiano è apprezzato in tutto il mondo. Addirittura una donna su 4 nel mondo applica un colore italiano.

LE OTTO PRINCIPALI TENDENZE 2017

Quelle che influenzeranno il design di prodotti e servizi alla luce dell’innovazione tecnologica e dell’evoluzione nei comportamenti di consumo. 

 

1.Ephemeral Stories: Siamo tutti storyteller, nessuno è storyteller.

La creazione del contenuto passa dallo storytelling allo storydoing – condividere delle storie attraverso le esperienze che un brand rende possibili. La democratizzazione nella produzione di contenuti e l’affermazione della componente visiva su quella testuale hanno scardinato le modalità tradizionali di circolazione degli stessi. Per le aziende significa fare un passo indietro e lasciare spazio alla narrazione personale dei propri consumatori. Il nuovo linguaggio sono le live stories e i contenuti semplici, spontanei, personali trasmessi, la social experience. E’ il filter paradox, contenuti sempre meno filtrati nel senso tradizionale del termine, ricchi al contrario dei filtri tipici alla Snapchat.

2.Hourglass Brands: Non esistono le mezze misure.

In tutti i settori, il posizionamento dei brand risulta polarizzato, da una parte grandi piattaforme digitali, tra i brand più amati, abili nell’estendersi oltre il loro core business, offrire servizi molto differenziati, dall’altra parte brand specializzati con un obiettivo chiaro e definito. Queste realtà stanno scardinando lo scenario per tutte le altre, spingendole a ridefinire il loro posizionamento, trovare uno scopo preciso o aprirsi ai valori universali del digitale: efficienza, usabilità, accessibilità e semplicità.

 

3.Me, Myself and AI: Umanizzare i chatbot.

L’Artificial Intelligence (AI) procede a grandi passi, il prossimo è aggiungere intelligenza emotiva alle macchine. Nel prossimo futuro lo sviluppo di prodotti e servizi passerà da qui. I servizi digitali creati per l’interazione con le persone, come i sistemi conversational basati su AI, richiedono una collaborazione tra uomo e macchina, sia in fase di progettazione delle logiche di interazione, che, in modo selettivo, durante l’erogazione di un servizio. Questa simbiosi tra intelligenza artificiale e umana è fondamentale per creare esperienze in cui la capacità di comprensione ed analisi si fonde con elementi emozionali.

 

4.Blurred Reality: Andare oltre la realtà aumentata per tornare nella realtà.

Mentre la Mixed Reality (MR) diventa mainstream, le aziende dovranno adottare le combinazioni di tutti i tipi di realtà, fisica e virtuale per la creazione di esperienze significative per i propri clienti. Nel 2017 sempre più applicazioni di MR si affermeranno permettendo ai brand di creare esperienze omnicanale.

 

5.Homes without Boundaries: Per una casa che ti ascolta

Una smart home senza confini, con servizi costruiti per e attorno alle persone, anziché alla tecnologia e gli oggetti. Le aziende devono sviluppare strategie che guardino oltre il singolo device per focalizzarsi sulle esperienze in grado di rispondere a bisogni quotidiani delle persone ovunque esse si trovino. La attività domestiche diventano portatili, ovvero la casa diventa flessibile nel rispondere alle esigenze.

 

6.Shiny API People: Riorganizzarsi per innovare

La tecnologia digitale ha cambiato il modo in cui prodotti e servizi vengono ideati, realizzati, distribuiti e consumati. Per le aziende questo significa imparare ad adattarsi al cambiamento, abbattere i silos e creare un terreno fertile per l’innovazione a tutti i livelli dell’organizzazione, acquisendo le design skill necessarie.

 

7.World on Wheels: Chi va piano va sano e va lontano

Con i veicoli a guida autonoma ad un passo dall’entrare nella nostra quotidianità, le aziende devono porre l’attenzione sull’automobile come ambiente mobile connesso in cui le cose accadono attraverso l’uso di vari dispositivi. Così come accade per la smart home, anche l’auto diventa un nodo all’interno di un ecosistema digitale.

 

8.Unintended Consequences: Il cannibalismo della customer centricity

Le organizzazioni dovrebbero iniziare a progettare le esperienze per proteggersi dalle conseguenze non intenzionali delle loro attività. Nel prossimo anno istanze etiche legate alle conseguenze inattese delle tecnologie digitali diverranno sempre più rilevanti e entreranno necessariamente nell’agenda di istituzioni e aziende.

AUMENTA LA VIOLAZIONE DEI MARCHI.

CompuMark, azienda specializzata nella ricerca e protezione dei marchi, ha rilasciato oggi i risultati di uno studio sull’impatto che la violazione del marchio ha sui brand. Dalla ricerca è emerso che otto dirigenti d’azienda su dieci (l’80 per cento) affermano che questa è in aumento. Nonostante questa consapevolezza la ricerca ha rivelato però che solo cinque intervistati (20 per cento) hanno in corso un processo per monitorare i propri marchi, mentre la metà ha ammesso di farlo tra il 26 per cento e il 75 per cento.

Condotta da Opinium, la ricerca analizza le sfide che devono affrontare i dirigenti d’azienda, la loro visione della violazione del marchio e il processo di gestione del marchio nel complesso. Lo studio ha mostrato che la richiesta di deposito di marchi è in aumento, con i due terzi (66 per cento) delle aziende che hanno in programma di lanciare nuovi marchi nei prossimi 12 mesi. Inoltre l’80 per cento degli intervistati ha affermato che sarebbe più propenso a lanciare nuovi marchi se il processo di ricerca fosse più semplice.

Il numero di marchi che deve essere depositato sta crescendo esponenzialmente, e continuerà senza dubbio a farlo. Tutto ciò, insieme al gran numero di marchi già presenti sul mercato, significa che sta diventando sempre più difficile per i brand ricercare e registrare marchi unici e nel contempo proteggere quelli già registrati. Questo fatto evidenzia la necessità di una maggiore protezione e, come conseguenza, rende imperativo per le aziende sviluppare e far rispettare una strategia globale che li aiuti a tenere al sicuro i propri asset più preziosi: i marchi.

Inoltre le implicazioni finanziarie della violazione del marchio, come la perdita di ricavi (26 per cento), danni alla reputazione del brand (21 per cento), confusione dei clienti (21 per cento) e riduzione della fedeltà e della fiducia (19 per cento), sono tra le maggiori conseguenze di questo problema.

Altre principali evidenze della ricerca:

  • • Il 94 per cento dei dirigenti ha affermato di essere sicuro che la propria azienda abbia preso misure per ricercare il marchio in tutti i mercati;
  • • Il 41 per cento degli intervistati ha dichiarato che la propria società ha aumentato il budget per la ricerca del marchio, mentre solo il 5 per cento ha affermato di averlo ridotto;
  • • Più della metà degli intervistati (53 per cento) ha dichiarato che la propria organizzazione ha intrapreso misure legali contro terze parti che avevano violato il proprio brand, di cui il 34 per cento che ha dovuto cambiare il nome del proprio brand a causa della violazione.

 

I cinque fattori chiave per aziende vincenti.

 

Le aziende del largo consumo si trovano oggi a dover affrontare innumerevoli sfide, come ad esempio operare in un periodo storico di grande incertezza politica ed economica, dover conquistare il gradimento e soddisfare necessità e desideri di consumatori più consapevoli e attenti rispetto al passato, competere con i venditori al dettaglio e con un numero sempre maggiore di negozi e supermercati che vendono prodotti a prezzi ridotti. In un simile contesto, le grandi aziende che operano nel settore dei beni di largo consumo faticano a trovare la via verso la crescita. Tuttavia esistono delle best practice che hanno permesso ad alcune imprese di emergere e distanziare i propri competitor. Una recente survey McKinsey, in collaborazione con Nielsen e GMA (Grocery Manufacturers Association, l’associazione che rappresenta i maggiori produttori mondiali di generi alimentari), condotta nel 2016 tra le aziende nordamericane che operano nel settore dei beni di largo consumo ha evidenziato 5 best practices in materia di gestione della clientela e dei canali di distribuzione delle aziende “vincenti”, quelle aziende cioè che registrano performance migliori rispetto ai propri competitor1.

  1. INDIVIDUARE LE SACCHE DI CRESCITA E INVESTIRVI LE PROPRIE RISORSE

L’indagine rivela come tutte le aziende vincenti acquisiscano dati relativi al carrello della spesa e agli acquirenti; maggior parte di esse ottiene anche i dati relativi alle carte fedeltà e ai coupon utilizzati. Le aziende più lungimiranti riconoscono come tali dati siano utili a comprendere meglio le aree di maggior crescita e di conseguenza ad “aggredirle” più facilmente. Oggi, le sacche di crescita nel settore dei beni di largo consumo includono canali specifici (vale a dire, la vendita al dettaglio omni-canale, le catene di distribuzione alimentare locali, i discount, i club store e i dollar store, i corrispettivi dei negozi “tutto a 1 euro”), gruppi demografici (Millennials) e categorie di consumatori (consumatori consapevoli).

  1. INTENSIFICARE LE ‘POWER PARTNERSHIP’ CON I CLIENTI PIÙ IMPORTANTI

Le aziende vincenti sono 2,6 volte più portate a investire esclusivamente in collaborazioni con i venditori al dettaglio. Esse coltivano le cosiddette “power partnership” con i clienti più importanti — organizzano incontri top-to-top più frequentemente (il 40% delle vincenti, contro il 7% delle altre, è impegnato in conversazioni top-to-top almeno tre volte l’anno), sono più propense a coinvolgere in questi meeting il CEO e il top management e concentrano la loro attenzione su collaborazioni trasversali che riguardano tutta la filiera. I venditori al dettaglio richiedono sempre più spesso dei dati analitici sugli acquirenti: il 75% delle aziende vincenti ogni settimana condivide dati con i venditori principali, mentre il restante 25% condivide dati in tempo reale sulla base della necessità del momento.

  1. ADOTTARE UN SISTEMA DI GESTIONE CRESCITA-RICAVI BASATO SUI BIG DATA

Con le aziende sempre più impegnate a sviluppare le proprie strategie in base alla politica dei prezzi, alle promozioni commerciali e all’assortimento di prodotti/merci, il termine RGM Revenue-Growth-Management (sistema di gestione della crescita e dei ricavi) sta diventando via via sempre più di moda. Le aziende che padroneggiano l’RGM hanno visto incrementare il proprio margine di crescita fino a cinque punti percentuale. Le aziende vincenti hanno la tendenza a investire in strumenti avanzati di analisi, in big data, in tecnologie RGM all’avanguardia e in strumenti di gestione e ottimizzazione delle operazioni commerciali e promozionali. Questo approccio viene utilizzato anche relativamente alla gestione dell’assortimento prodotti. Le aziende vincenti sono più risolute nell’apportare modifiche frequenti e rilevanti ai propri portfolio SKU (Stock Keeping Unit, articoli specifici messi a stock in una specifica posizione) e sono più propense rispetto ad altre aziende a tener conto della redditività, del feedback che viene dai consumatori e dai team addetti alle vendite e della complessità dei processi di produzione e distribuzione quando si tratta di aggiungere o sottrarre articoli gestiti a magazzino.

  1. IMPEGNARSI NELLA VENDITA AL DETTAGLIO OMNI-CANALE

Le aziende che operano nel settore dei beni di largo consumo ritengono che l’e-commerce sarà il fattore principale che guiderà il cambiamento nel corso dei prossimi cinque anni – in particolare, la continua crescita di Amazon. Non sorprende dunque che le aziende siano particolarmente attive nel collaborare con Amazon: il 29% delle aziende vincenti ha inserito un team di account all’interno degli uffici Amazon e il 14% ha in programma di farlo nei prossimi due anni. La metà delle aziende vincenti – contro il 7% delle altre – ha in programma investimenti in specialisti di categoria online o multi-canale. Inoltre, esse utilizzano i propri siti web per migliorare l’esperienza del cliente e rafforzare la presenza del brand, raccolgono dati al fine di ottenere una maggiore comprensione dei comportamenti di chi acquista e destinano alle vendite online un numero di impiegati che è 2,4 volte maggiore rispetto alle altre aziende.

  1. SVILUPPARE UNA INSIGHTS FACTORY

Rispetto alle altre aziende, quelle vincenti sono due volte più propense a ritenere che gli strumenti di analisi avanzata rappresentino un elemento essenziale per l’attività di business strategy. Queste aziende creano una “insights factory”— un set di strumenti, processi e modelli analitici — capace di raccogliere dati che forniscono una visione sia a livello generale che dettagliato (di negozio in negozio) che può influenzare le decisioni prese dalle diverse sales organization. La maggior parte delle aziende vincenti aggiorna ogni mese i dati raccolti su consumatori o acquirenti. Le scelte operate dalla sales organization possono influire notevolmente sulle performance di un’azienda. I cinque fattori imprescindibili dimostrano come utilizzando big data, strumenti e analisi a proprio vantaggio per rafforzare le strategie di gestione della clientela e dei canali di distribuzione dei prodotti, le aziende che operano nel settore dei beni di largo consumo possano distinguersi dai propri competitor.

 

Come conquistare i millennials

Facciamo un viaggio all’interno della generazione dei Millennials analizzandone le modalità di interazione con le aziende e le abitudini di acquisto di questi consumatori.

Una prima considerazione da fare è che quella dei Millennials è una generazione molto esigente: ambiscono a uno stile di vita sano ed equilibrato, desiderano tenersi informati sulle imprese, sui loro prodotti, sulle politiche aziendali messe in atto e si aspettano che i prodotti in commercio facciano di più per loro e per la comunità di cui fanno parte.

L’essere cresciuti durante il processo di democratizzazione di Internet ha fatto sì che i Millennials crescessero come la generazione più informata e, di conseguenza, ha generato degli individui esigenti e consapevoli che chiedono sempre di più alle aziende, ai prodotti e al cibo. Più di qualunque altra generazione che li ha preceduti, i Millennials vogliono sapere come, dove e da chi viene prodotto ciò che acquistano e non esitano a confrontarsi con le aziende produttrici utilizzando i canali digitali a disposizione.

I consumatori di ogni età e provenienza geografica sono sempre più attenti all’alimentazione: oltre la metà degli intervistati di tutte le generazioni dichiara di essere disposta a pagare un sovrapprezzo per alimenti che abbiano benefici per la salute, ma questa percentuale sale all’81% tra i Millennials. L’indice di gradimento per alimenti organici, senza glutine e ad alto valore proteico è molto elevato tra i Millennials, anche se in cima alle loro preferenze troviamo la sostenibilità e il commercio equo-solidale.

Inoltre, il 21% dei Millennials intervistati vorrebbe ci fosse più scelta, contro il 13% dei Baby Boomers. Non sorprende dunque che la maggior parte di essi siano apertissimi a provare nuovi prodotti: più del 66% di essi dichiara di aver acquistato un prodotto nuovo l’ultima volta che ha fatto la spesa, contro il 41% degli intervistati meno giovani.

Tra i Millennials è diffusa l’abitudine di esaminare la confezione del prodotto da acquistare per assicurarsi che abbia un impatto ambientale minimo o per verificare l’impegno sociale dell’azienda produttrice. Per quanto riguarda il packaging, i Millennials gradiscono i colori intensi, luminosi, e sono in grado di decifrare più facilmente i testi impressi sulle confezioni dei prodotti o su disegni.

Per catturare l’attenzione dei Millennials occorre stimolarli in maniera dinamica. I più giovani si caratterizzano per una migliore memoria a breve termine, che consente di elaborare un gran numero di immagini e concetti contemporaneamente, e sono meno soggetti a distrazioni di fronte a dinamicità e interruzioni. Inoltre, sono dotati di maggior capacità multi-sensoriale e sono in grado di elaborare materiale pubblicitari dai forti contenuti visual o che presentano elementi visivi inattesi, sorprendenti.

Per quanto riguarda i contenuti pubblicitari, i Millennials prediligono un tipo di umorismo sarcastico e non convenzionale, espresso da personaggi in cui possano immedesimarsi. Le ragazze amano i temi forti, di ispirazione, mentre i ragazzi apprezzano molto situazioni legate al mondo dello sport e trame adrenaliniche. Per conquistare il gradimento di Millennials è importante utilizzare personaggi di età non troppo distante da loro, salvo non siano caratterizzati da una forte componente umoristica.

Hanno un livello di fiducia molto alto in quasi tutti i format pubblicitari. Come le altre categorie di consumatori, anche i Millennials si fidano soprattutto di ciò che gli viene consigliato, dei siti web brandizzati e delle recensioni disponibili online – concetti fondamentali che dovrebbero essere alla base di ogni campagna o lancio di prodotto. E paradossalmente, i canali tradizionali come ad esempio gli spot televisivi o gli annunci sulle riviste sono tenuti in grande considerazione dalla maggior parte dei Millennials.

In conclusione, per sfruttare le caratteristiche dei Millennials le aziende dovrebbero:

  • utilizzare il loro approccio mentale basato sul networking per condividere contenuti avvincenti e interagire con loro attraverso il dialogo, in modo trasparente, rendendo le informazioni accessibili in un click e cercando di coinvolgerli nei propri progetti
  • ricordare che i Millennials fanno parte di comunità in cui condividono tutte le loro esperienze; è necessario dunque creare prodotti e soluzioni che offrano “di più” sia al consumatore che alle comunità di cui fa parte
  • consentire ai consumatori di avere il controllo sul prodotto, dare loro la possibilità di personalizzarlo secondo le proprie esigenze e di scegliere come o quanto velocemente vederselo recapitato
  • tenere a mente la capacità di elaborazione che queste giovani menti hanno e creare contenuti vivaci, dinamici e interattivi che possano catturare la loro attenzione

.. e, soprattutto, ricordarsi sempre che questa generazione, al contrario di tutte quelle che l’hanno preceduta, è la generazione del “noi”, del “di più”, dell’“adesso”

COCA COLA, UN SOLO MARCHIO TRA EMOZIONI E RICORDI

Il colosso di Atlanta cambia strategia: ritorno al brand unico e spazio ai sentimenti per ricordare tutti i giorni importanti in compagnia della bibita per eccellenza.

Ritorno alle origini, al marchio da cui tutto è nato e che a 124 anni di distanza resta inconfondibile oltre che tra i brand commerciali di maggior valore al mondo. Del resto se ti chiami Coca-Cola, aggiungere altro può addirittura apparire superfluo perché è probabile che il target cui rivolgi il messaggio pubblicitario già ti conosca e che, per giunta, sia cliente più o meno fedele. Anzi, potrebbe anche accadere che scorrendo a ritroso la galleria dei ricordi più importanti nella vita dei quasi due miliardi di consumatori al giorno ci sia, in un angolo o magari sullo sfondo, anche una lattina o la celebre bottiglietta dalla forma sinuosa. E questo che a significare che forse c’era anche una Coca-Cola a suggellare il primo bacio, una serata tra amici particolarmente riuscita, una gita divertente e persino un litigio furibondo con il partner o un collega di lavoro. E così per la campagna di comunicazione partita giovedi 21 gennaio con una prima serie di spot televisivi, il colosso di Atlanta ha scelto di tornare alle origini e puntare tutto sulle grandi emozioni. Quelle che abbiamo impresso nella mente sorseggiando la bibita e che ora, ripetendo quel gesto, possiamo anche rivivere.

La nuova strategia di marketing globale per il 2016 rappresenta una novità nella storia della multinazionale: i tre marchi che designano le varianti della storica bevanda (la bibita tradizionale, Coca-Cola Light e Coca-Cola Zero) di fatto scompariranno sotto il posizionamento del brand originario che tornerà ad essere dominante in tutti gli strumenti di comunicazione pubblicitaria. Una vera e propria rivoluzione nella storia recente della bevanda: “Ogni consumatore potrà continuare a gustare la bibita che preferisce – spiega Annalisa Fabbri, direttore marketing di Coca-Cola Italia – ma con la nuova strategia comunicativa il nostro gruppo vuole estendere ancora di più il valore globale e il fascino iconico del nostro brand che, al di là degli stili di vita dei singoli, resta per tutti e semplicemente Coca-Cola”. E poi le emozioni, elemento fondante della nuova campagna globale “Taste the feeling” che in Italia è anticipata da una prima serie di spot intitolata “Anthem” che dal 21 gennaio sono on air sulle principali emittenti televisive nazionali: “L’idea – continua Annalisa Fabbri – è di celebrare l’esperienza e il piacere semplice ma intenso di bere una Coca utilizzando uno storytelling universale che fa riferimento a momenti riconducibili alla vita di tutti i giorni per entrare in sintonia con i consumatori di tutto il mondo”. Quasi un’operazione “nostalgia” anche se l’intera strategia affiancherà alle caratteristiche storiche e fondamentali del marchio una prospettiva di modernità che celebra momenti autentici e reali, al centro dei quali c’è il prodotto.

IL NEGOZIO, IL TEATRO DEI SOGNI

La televisione potrebbe essere il miglior mezzo di comunicazione mai inventato per quanto riguarda la vendita, ma attenzione: la prossima, grande, rivoluzione creativa avrà luogo in negozio. Credo che il negozio sarà il centro delle opportunità maggiori per le aziende di tutto il mondo, ma solo se esse saranno in gradi di cambiare l’esperienza d’acquisto del consumatore. Per creare legami affettivi in negozio, bisognerà trasformare questo spazio da macchina funzionale a Teatro dei Sogni.

Un buon modo per cominciare la relazione con i consumatori è chiedersi: “chi fa shopping?” La risposta è: le donne. Le donne prendono oltre l’80% delle decisioni d’acquisto, in tutte le case e in tutti i casi. Ora produttori e rivenditori stanno cominciando ad accorgersi del loro potere. Dobbiamo abituarci a mettere le donne al centro delle nostre conversazioni con i clienti, dobbiamo diventare più personali e cominciare a sostituire “lui” e “il” con “lei” e “la”.

Una recente indagine mondiale mostra che una consumatrice-tipo ci mette 21 minuti a fare la spesa: da quando lascia la macchina a quando vi fa ritorno con gli acquisti. In quei 21 minuti compra mediamente 15 delle migliaia di prodotti a sua disposizione. Come fa? Potete scommetterci, non attraverso una valutazione razionale di ogni singola scelta.

Oggi sappiamo che l’intuizione, l’emozione, la memoria e l’inconscio costituiscono l’85% delle nostre motivazioni. C’è un potenziale infinito per il Lovemarketing all’interno di un punto vendita. Abbracciamo questo potenziale,  e trasformiamo questo spazio in un Teatro dei  Sogni per le nostre donne.

 

 

LA RICETTA DELL’IMMORTALITA’ DI UN MARCHIO

Come fa un marchio ad essere glam per sempre? Com’è possibile che ci siano in circolazione, appetiti e appetibili da tutti, oggetti di uso comune e quotidiano che hanno festeggiato anche i 150 anni di età, ma che nessuno si azzarda a definire ‘vecchi’.

Nell’elenco degli oggetti di moda che continuano a farsi desiderare anche dopo un secolo, ci sono ad esempio i decolletees bicolore di Chanel (hanno 57 anni); l’Omega Seamaster di James Bond (65 anni); gli stivali 5050 di Stuart Weitzman (20 anni); la linea Hugo di Hugo Boss (20 anni); Chloe (60 anni); la borsetta Knot Bottega Veneta (30 anni); Pepe Jeans London (40 anni). E ancora: le Lacoste (80 anni); i Levi’s 501 (140); i mocassini Gucci (60); gli orologi Tissot (160); i boots Timberland (40); il cappotto cammello di Max Mara (32 anni); le Creepers, i nabuk che furono dei paninari e oggi festeggiano i 40.

Gli oggetti di culto sono forme culturali. E per diventare tali devono aver raggiunto tre livelli: il primo è dato dalle forti caratteristiche estetico-funzionali dell’oggetto stesso che deve, soprattutto, rispondere ai requisiti essenziali che gli si richiede. Il secondo è dato dall’immaginario: gli oggetti-icona sono sempre aspirazionali, vale a dire che tutti desidererebbero averne uno. Il terzo livello, il più importante, è dato dalla simbologia che l’oggetto rappresenta. Il Maggiolone della Volkswagen, ad esempio, è l’emblema degli anni 60, del mondo culla di una nuova gioventù, di una vera e propria rivoluzione culturale che ha coinvolto i giovani di tutto il pianeta. Ed è chiaro che anche nel suo remake, ci si riallaccia a questi determinati valori.

Anche se la moda, per antonomasia, è votata per sua natura al cambiamento, alcuni oggetti-chiave restano comunque sempre sulla cresta dell’onda perché entrano, di diritto, nel nostro patrimonio di conoscenze indelebili e senza tempo. E poi i brand non nascono mai a caso, sono frutto della cultura e dei punti di forza del Paese che li produce.

6 BUONE IDEE PER IL WEB MARKETING TURISTICO

La stagione estiva è alle porte e possiamo aspettarci che da qui a poco le campagne di web marketing turistico entreranno nel vivo.

Da qualche anno a questa parte l’Italia ha perso terreno rispetto ad altri competitor che possono offrire ottimi servizi a prezzi competitivi, ma resta comunque una delle dieci mete turistiche preferite a livello mondiale. Bellezza dei paesaggi, storia e arte, specialità enogastronomiche e stile di vita sono gli asset sui quali può contare il nostro settore turistico.

Ma la nostra realtà, fatta di aziende prevalentemente medio-piccole, spesso a gestione familiare, fatica a mettere in campo strategie comunicative capaci di sfruttare questi punti forti per la promozione dei propri servizi. Ecco dunque cinque idee per le realtà medio-piccole che operano nel settore e che devono porre le basi per una strategia di web marketing turistico efficace:

  • Ricognizione della propria presenza online. Che strumenti sono stati messi in atto? Che efficacia hanno avuto nel rendere visibile l’attività? In particolare occorre considerare: il sito web è ben indicizzato dal motore di ricerca? e quali sono le query attraverso le quali gli utenti arrivano al sito?
  • La pagina aziendale di Facebook riesce a ottenere un coinvolgimento dei fan, oppure non ha luogo nessuna interazione?
  • Esistono altri canali social dove si è presenti, e con quali performance?
  • Sono state sperimentate campagne pubblicitarie? se sì, con quali risultati rispetto all’investimento?
  • Esiste una strategia di Customer Relationship Management?
  • L’industria del turismo dipende, in larga misura, dalle presenze straniere. Ecco perché è importante dotarsi di un sito multilingua, possibilmente responsive, che sia pensato e tradotto a partire dalla conoscenza dei mercati esteri.

Per chi, invece, preferisce rimanere fedele al sito monolingua, è comunque importante monitorare la visibilità del sito e provvedere a tutte le azioni necessarie per migliorarla: dall’ottimizzazione delle pagine, seguendo una vera e propria keyword strategy, all’acquisizione di link, senza dimenticare un’adeguata presenza sui social.

Facebook può essere usato per raccontare e coinvolgere, rispondendo alle esigenze per gli utenti. Buoni esempi di strategie editoriali e narrative sono quelle di hotel e centri benessere che stimolano gli utenti a condividere i loro momenti di divertimento e relax, raccontano di iniziative gratuite e mostrano le bellezze dei dintorni. Mentre per i ristoranti, che possono avvalersi dell’amore per il food, lo scatto fotografico dei migliori piatti diventa una strategia vincente.

Il settore turistico si presta bene al racconto per immagini. Ecco perché potrebbe valere la pena di prevedere una presenza su Instagram o Pinterest. Il primo si rivela particolarmente adatto per coinvolgere gli utenti tramite concorsi ad hoc, mentre il secondo è l’ideale se volete attrarre un pubblico raffinato e attento a ogni dettaglio.

La relazione, un tesoro da custodire. E’ difficile acquisire un cliente; ecco perché occorre fare tutto il possibile per offrire un servizio sempre all’altezza e per instaurare una relazione positiva con chi ci ha fatto visita. Cercare di ottenere l’email di un cliente e ricordarsi di lui in certe occasioni (compleanni, fiere ed eventi, festività e ponti) è un buon modo per risvegliare le sensazioni positive provate durante la precedente permanenza. Ecco perché è importante avere un database aggiornato e ben organizzato per mandare comunicazioni mirate.

Queste idee rappresentano un buon punto di partenza per mettere in atto una strategia di web marketing turistico che sappia sfruttare al meglio i tanti canali attraverso i quali è possibile ottenere visibilità online. Siamo a vostra completa disposizione per una consulenza gratuita sull’argomento.

 

  • 1
  • 2